Obama va capito ma anche avvertito

 

Di Carlo Pelanda (21-4-2009)

 

 

 Questa rubrica osserva con preoccupazione, come altri occidentalisti americani ed europei, la rinuncia all’ideologia della libertà da parte di Obama. Senza tale ideologia, infatti, l’America sarebbe niente e l’occidente senza centro. Ma è troppo grossa per crederci.  

Questa rubrica ipotizza che Obama senta la priorità di dover risolvere il problema di un’alleanza globale tra nazioni a regime autoritario che, pur non integrata, ha il comune obiettivo di far finire l’egemonia statunitense e democratizzante nel pianeta. La forza di tale gruppo di nazioni, capeggiate da Cina e Russia che con il loro peso incoraggiano Iran, Venezuela, Cuba ed altre decine di regimi, è tale da ridurre lo spazio di manovra dell’America. Per esempio, ha la maggioranza dei voti all’Onu. Pertanto non sembra irrazionale che l’America in grave difficoltà, anche per l’assenza totale degli europei, tenti in tutti i modi di separare Cina e Russia, l’Iran dalla seconda, le dittature africane dalla prima e quelle sudamericane da ambedue e tra loro. Un modo per farlo – pur la rubrica preferendo lo hard power -  è quello di rassicurare i dittatori che non saranno rovesciati in nome della democrazia, enfatizzando il passaggio dall’ideologia al pragmatismo per instaurare con ciascuno di loro un dialogo e così dividerli. Inoltre Obama ha bisogno della Cina per pompare la ripresa in America, se no non verrà rieletto, nonché della Russia e dell’Iran per disingaggiarsi dai conflitti e congelare le frizioni. Il punto: prima di gridare allo scandalo ed invocare la rimozione di Obama per tradimento, va valutato se la sua azione sia una tattica contingente razionale senza implicazioni strategiche oppure una vera e duratura svolta di modello. Gli indizi sembrano indicare che sia una tattica. Infatti Obama non ha mollato niente di sostanziale facendo solo aperture retoriche utili, appunto, ad aprire dialoghi bilaterali. Inoltre la preoccupazione di Pechino, giunta al punto di minacciare la sostituzione del dollaro come moneta di riferimento globale, indica che non si fida di Obama. Questo cede sull’ideologia, ma sulla sostanza resta duro ed imperiale. Sta applicando la dottrina del soft power teorizzata da J. Nye e dalla sinistra del pensiero strategico statunitense. Tuttavia questa, pur rinunciando ai linguaggi aggressivi e prescrivendo azioni dure o pragmatiche in modi riservati, mai ammette l’abbandono del linguaggio pubblico della libertà e della missione di diffonderla. Pertanto Obama sta esagerando, forse per inesperienza. O si corregge oppure sinistra e destra occidentaliste dovranno convergere per rimuoverlo. Avvertimento.  

Carlo Pelanda